La macchina da abitare, il Futurismo tra arte e architettura

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Virginicchia
view post Posted on 27/8/2010, 10:52




IL MANIFESTO DELL’ARCHITETTURA FUTURISTA, e la “città nuova” di antonio sant’elia.
Sebbene in Italia tra gli anni Venti e Trenta del Novecento avesse avuto la meglio il movimento razionalista, in particolare il Monumentalismo di Marcello Piacentini (che divenne l’architettura ufficiale del regime fascista), credo tuttavia che l’architettura futurista possa essere vista come un imput per molti architetti europei dell’epoca e come trasformazione del modo di concepire l’opera architettonica moderna, fino ai giorni nostri. Ovviamente la città futurista, nelle sue varie forme proposte dagli architetti italiani, rimase allo stadio di profezia e progetto. Tuttavia molti architetti europei mostrarono un forte interesse per il Futurismo. Tra i più famosi ricordiamo l’architetto francese Le Corbusier, il quale adottò, per la “zona d’affari” del suo progetto per Algeri, edifici in tensostruttura, un sistema inventato dall’architetto futurista Fiorini.
Al futurismo si possono ricondurre dunque gran parte dei disegni, delle utopie, delle megastrutture ideate in un secolo di progettazione architettonica ed urbanistica per la metropoli come la conosciamo oggi.

Il manifesto dell’Architettura Futurista fu scritto dall’architetto Antonio Sant’Elia e pubblicato nel 1914. Cito qui i passi più salienti:

“Dopo il Settecento non è più esistita nessuna architettura. (…) La bellezza nuova del cemento e del ferro viene profanata con la sovrapposizione di carnevalesche incrostazioni decorative che non sono giustificate né dalle necessità costruttive, né dal nostro gusto e traggono origine dalle antichità egizie,indiane o bizantine, e da quello sbalorditivo fiorire di idiozie e di impotenza che prese il nome di neoclassicismo.
(…) Questa è la suprema imbecillità dell’architettura moderna, che si ripete per la complicità mercantile delle accademie, domicili coatti dell’intelligenza, ove si costringono i giovani all’onanistica ricopiatura di modelli classici , invece di spalancare la loro mente alla ricerca dei limiti e alla soluzione del nuovo e imperioso problema: la casa e la città futuriste. (…) L’obiettivo è quello di creare di sana pianta la casa futurista, di costruirla con ogni risorsa della scienza e della tecnica, appagando signorilmente ogni esigenza del nostro costume e del nostro spirito, determinando nuove forme, nuove linee, una nuova armonia di profili e volumi. Quest’architettura non può essere soggetta a nessuna legge di continuità storica. Deve essere nuova come è nuovo il nostro stato d’animo.
(…) L’architettura si distacca dalla tradizione. Si ricomincia da capo per forza. (…) Abbiamo arricchita la nostra sensibilità del gusto del leggero e del pratico, dell’effimero e del veloce.
Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca. Gli ascensori devono inerpicarsi, come serpenti di ferro e di vetro, lungo le facciate.
Bisogna abolire il decorativo. (…) Tutto dev’essere rivoluzionato.

Naturalmente l’architetto futurista può fare queste considerazioni in virtù del fatto che proprio in quel periodo (tra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900) si cominciano ad utilizzare nuovi materiali di costruzione, più resistenti e allo stesso tempo più flessibili (cemento armato, barre d’acciaio) che permettono di progettare edifici sempre più alti, non più a misura d’uomo. L’immagine qui riportata è uno dei primi progetti di Sant’Elia.
Il grattacielo (o “grattanuvole”, come all’epoca veniva chiamato) è il simbolo stesso della scalata al cielo tentata dall’uomo moderno. Questa nuova realtà affascina i futuristi, tanto da essere presente come punto di riferimento fin dal manifesto di fondazione, in cui le strutture dei grandi insediamenti sono esaltate come meraviglioso scenario della società di massa. Secondo Sant’Elia occorre rivalutare la bellezza nuova del cemento e del ferro, contro le incrostazioni decorative, costruendo gli edifici in un preciso contesto ambientale.
Per i suoi progetti San’Elia sembra aver tratto ispirazione dalle immagini fantastiche di metropoli nordamericane apparse nella rivista “L’Illustrazione Italiana” nel 1913, soprattutto quella intitolata “La circolazione futura e i gratta nuvole a Nova York”, dove è presentata una visione urbana con linee sovrapposte della metropolitana, con strade per la circolazione automobilistica. Tale visione pare abbia influito molto su lavoro di Sant’Elia.
Ciò che tuttavia distingue la “Città Nuova” santeliana dai modelli americani è la commistione tra architettura e sistema delle infrastrutture stradali. La vera innovazione sta nell’aver formulato un’ipotesi di town design, superando l’attrito tra disegno architettonico e definizione della forma dello spazio urbano.
Nonostante l’indeterminatezza delle destinazioni funzionali dei complessi edilizi e la mancanza “di ogni proiezione in pianta, di spaccati, sezioni o assonometrie”, lo studio delle tipologie architettoniche configura un tessuto urbano più definito di quanto sostengano alcuni critici.
Elemento tipologico basilare della città di Sant’Elia è l’edificio a gradoni. Tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e la prima guerra mondiale il tema della composizione a gradoni incontra una particolare fortuna nell’architettura, in particolare quella dei grattacieli americani. Il tema dei gradoni è una costante nei progetti di Sant’Elia, ritrovabile anche nei progetti anteriori al biennio 1913-1914. La variante che l’architetto futurista aggiunge a questo tipo di edificio è (come vediamo nell’immagine qui riportata) una struttura esterna per l’ascensore, proprio come afferma nel suo manifesto “gli ascensori devono inerpicarsi lungo le facciate degli edifici.”

origine dalle antichità egizie,indiane o bizantine, e da quello sbalorditivo fiorire di idiozie e di impotenza che prese il nome di neoclassicismo.
(…) Questa è la suprema imbecillità dell’architettura moderna, che si ripete per la complicità mercantile delle accademie, domicili coatti dell’intelligenza, ove si costringono i giovani all’onanistica ricopiatura di modelli classici , invece di spalancare la loro mente alla ricerca dei limiti e alla soluzione del nuovo e imperioso problema: la casa e la città futuriste. (…) L’obiettivo è quello di creare di sana pianta la casa futurista, di costruirla con ogni risorsa della scienza e della tecnica, appagando signorilmente ogni esigenza del nostro costume e del nostro spirito, determinando nuove forme, nuove linee, una nuova armonia di profili e volumi. Quest’architettura non può essere soggetta a nessuna legge di continuità storica. Deve essere nuova come è nuovo il nostro stato d’animo.
(…) L’architettura si distacca dalla tradizione. Si ricomincia da capo per forza. (…) Abbiamo arricchita la nostra sensibilità del gusto del leggero e del pratico, dell’effimero e del veloce.
Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista simile ad un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte e la casa futurista simile ad una macchina gigantesca. Gli ascensori devono inerpicarsi, come serpenti di ferro e di vetro, lungo le facciate.
Bisogna abolire il decorativo. (…) Tutto dev’essere rivoluzionato.

Naturalmente l’architetto futurista può fare queste considerazioni in virtù del fatto che proprio in quel periodo (tra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900) si cominciano ad utilizzare nuovi materiali di costruzione, più resistenti e allo stesso tempo più flessibili (cemento armato, barre d’acciaio) che permettono di progettare edifici sempre più alti, non più a misura d’uomo. L’immagine qui riportata è uno dei primi progetti di Sant’Elia.
Il grattacielo (o “grattanuvole”, come all’epoca veniva chiamato) è il simbolo stesso della scalata al cielo tentata dall’uomo moderno. Questa nuova realtà affascina i futuristi, tanto da essere presente come punto di riferimento fin dal manifesto di fondazione, in cui le strutture dei grandi insediamenti sono esaltate come meraviglioso scenario della società di massa. Secondo Sant’Elia occorre rivalutare la bellezza nuova del cemento e del ferro, contro le incrostazioni decorative, costruendo gli edifici in un preciso contesto ambientale.
Per i suoi progetti San’Elia sembra aver tratto ispirazione dalle immagini fantastiche di metropoli nordamericane apparse nella rivista “L’Illustrazione Italiana” nel 1913, soprattutto quella intitolata “La circolazione futura e i gratta nuvole a Nova York”, dove è presentata una visione urbana con linee sovrapposte della metropolitana, con strade per la circolazione automobilistica. Tale visione pare abbia influito molto su lavoro di Sant’Elia.
Ciò che tuttavia distingue la “Città Nuova” santeliana dai modelli americani è la commistione tra architettura e sistema delle infrastrutture stradali. La vera innovazione sta nell’aver formulato un’ipotesi di town design, superando l’attrito tra disegno architettonico e definizione della forma dello spazio urbano.
Nonostante l’indeterminatezza delle destinazioni funzionali dei complessi edilizi e la mancanza “di ogni proiezione in pianta, di spaccati, sezioni o assonometrie”, lo studio delle tipologie architettoniche configura un tessuto urbano più definito di quanto sostengano alcuni critici.
Elemento tipologico basilare della città di Sant’Elia è l’edificio a gradoni. Tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e la prima guerra mondiale il tema della composizione a gradoni incontra una particolare fortuna nell’architettura, in particolare quella dei grattacieli americani. Il tema dei gradoni è una costante nei progetti di Sant’Elia, ritrovabile anche nei progetti anteriori al biennio 1913-1914. La variante che l’architetto futurista aggiunge a questo tipo di edificio è (come vediamo nell’immagine qui riportata) una struttura esterna per l’ascensore, proprio come afferma nel suo manifesto “gli ascensori devono inerpicarsi lungo le facciate degli edifici.”

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Virgilio Marchi e la città “luna park”
“La città futurista renderà i cervelli più elastici e più attivi; le volontà saranno pizzicate da nuovi stimoli; i desideri si moltiplicheranno come tanti microrganismi irresistibili, invadenti ogni essere in un genere tutto nuovo di infezione eccitante e benefica” (Marchi 1921)
La metropoli come luogo di espansione della vita percettiva, di stimolazione molteplice dell’attività sensoriale. Questo dunque è il significato della città futurista di Marchi. Ma i suoi disegni non possono essere assunti come prefigurazione della metropoli moderna, ma tutt’al più come una sua parodia, in cui l’architetto esalta in modo spropositato i temi del caos, della velocità, del bombardamento di immagini e della stimolazione continua di tutti i sensi. La città ideale marchiana può essere vista come il microcosmo del Luna Park. Questo è il concetto di “architettura-vita” che i disegni di Marchi intendono esprimere: “architettura che dia vertigine delle altitudini, la bizzarria del meandro, la voluttà scherzosa del pericolo.” E non solo: architetture percorse da tappeti movibili, panorami bizzarri, piazze soleggiate e abbaglianti. Insomma tutto ciò che è partecipe della vita è inserito nei lavori di Marchi. Nelle visioni del futurista c’è un culto dell’illogico che sfida ogni ordine tettonico e la legge di gravità. Dalle architetture del Luna Park, Marchi non recupera soltanto certi archetipi che divengono elementi strutturanti dell’immagine (montagne russe ecc…) ma anche un certo gusto per, definito da molti critici, l’orrido e il grottesco. Tuttavia c’è una sorta di “goliardica gioia” nei prodotti di Marchi, che vanno dalle forme bombate degli edifici- elemento essenziale dell’architettura futurista è anche la curva e l’ellisse, simboli di slancio, dinamicità e movimento- fino all’inserimento di persone e mezzi di trasporto nei disegni, come rappresentazione della “vita” nell’architettura.

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Pittura futurista
In relazione all’architettura.

I sogno utopico degli architetti futuristi era quello di creare una città in perenne mutamento, agile e mobile in ogni sua parte, un continuo cantiere in costruzione, e la casa futurista allo stesso modo deve essere impregnata di dinamicità. Il movimento, sia in architettura, sia in letteratura e in pittura futurista, è fondamentale.
Non a caso qualche anno dopo un celebre architetto, Le Corbusier, riprende questo tema dei futuristi, creando una definizione tutta sua: la “macchina d’abitare” , una questione questa che sarà aspetto qualificante della sua azione: il principio della separazione del traffico veicolare a quello pedonale e metropolitano, con il ricorso a passerelle metalliche e a velocissimi tapis roulant.

Anche e soprattutto nella pittura futurista troviamo il tema del movimento. L’opera di Umberto Boccioni “La città che sale” può essere definita come una commistione tra arte e architettura. Non a caso infatti l’autore sarà ispirato proprio dal manifesto di Sant’Elia a dipingere questo quadro.

Sullo sfondo sono visibili edifici in costruzione, ciminiere e impalcature, a simboleggiare l’ascesa verticale della città; ma al centro vediamo uomini e cavalli in un esasperato tentativo di movimento dinamico, fusi nel comune sforzo costruttivo, simbolo di forza, energia e vigore, esaltazione del lavoro come fondamento della costruzione della nuova società (quindi anche della nuova città) vagheggiata dai futuristi. Vengono così messi in risalto alcuni elementi tipici del futurismo: l’esaltazione del lavoro umano e l’importanza della città moderna. Questa è la prima opera pienamente futurista di Boccioni.

Anche il fascino della macchina è un elemento fondamentale per il pensiero futurista. In architettura si progettano molti edifici industriali, comprendendone l’importanza che ormai assumono. Sant’Elia ha tra i suoi disegni molti edifici industriali. Qui in particolare è il progetto per una centrale elettrica.
Per i pittori il fascino sta soprattutto nell’automobile “ruggente”, “scattante” e che è “più bella della Vittoria di Samotracia”, nell’aeroplano, nei treni, qualunque macchina insomma che permette all’uomo di superare velocità fino ad allora sconosciute.
Tra i più importanti quadri che riguardano l’argomento ricordiamo soprattutto il quadro del pittore Luigi Russolo “Automobile in corsa (Dinamismo di un’automobile)”. È l’esaltazione questa del dinamismo rappresentata attraverso l’esasperazione delle linee -forza e la violenza espressiva del colore. Il quadro riprende chiaramente motivi dell’arte cubista quali la frammentazione dell’immagine, ma con l’innovazione dell’inserimento di linee che seguono lo stesso tema per dare dinamismo e “velocità” alla macchina.

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Karma Negativo
view post Posted on 27/8/2010, 11:12




A parer mio i futuristi sono sempre stati troppo estremisti. Non davano possibilità alternative, erano ingessati. Propongono novità e lo fanno con il fare tipico dei conservatori: "E' così, punto e basta".
 
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Dottore della Peste
view post Posted on 11/11/2010, 11:25




CITAZIONE (Karma Negativo @ 27/8/2010, 11:12) 
A parer mio i futuristi sono sempre stati troppo estremisti. Non davano possibilità alternative, erano ingessati. Propongono novità e lo fanno con il fare tipico dei conservatori: "E' così, punto e basta".

Ma perché c'è bisogno di alternative, o meglio... quale corrente artistica ha mai posto nel rappresentare i suoi canoni anche alternative ad essi?
Il fururismo ha il merito di essersi imposto, di essersi espanso in un sacco di ambiti diversi, cosa che con una corrente artistica normalmente non capita, stanziandosi prettamente in un unico campo artistico. Pensa al carneplastico! Il carneplastico!
 
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sandcreek
view post Posted on 11/11/2010, 16:17





Giacomo Balla, Speed of a motorcycle
 
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view post Posted on 11/11/2010, 16:34




CITAZIONE (Dottore della Peste @ 11/11/2010, 11:25) 
CITAZIONE (Karma Negativo @ 27/8/2010, 11:12) 
A parer mio i futuristi sono sempre stati troppo estremisti. Non davano possibilità alternative, erano ingessati. Propongono novità e lo fanno con il fare tipico dei conservatori: "E' così, punto e basta".

Ma perché c'è bisogno di alternative, o meglio... quale corrente artistica ha mai posto nel rappresentare i suoi canoni anche alternative ad essi?
Il fururismo ha il merito di essersi imposto, di essersi espanso in un sacco di ambiti diversi, cosa che con una corrente artistica normalmente non capita, stanziandosi prettamente in un unico campo artistico. Pensa al carneplastico! Il carneplastico!

A dire il vero sono molte le correnti artistiche che hanno invaso più ambiti, come il classicismo e il romanticismo, o il verismo... quasi tutte insomma.
 
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Dottore della Peste
view post Posted on 11/11/2010, 18:49




CITAZIONE (Karma Negativo @ 11/11/2010, 16:34) 
CITAZIONE (Dottore della Peste @ 11/11/2010, 11:25) 
Ma perché c'è bisogno di alternative, o meglio... quale corrente artistica ha mai posto nel rappresentare i suoi canoni anche alternative ad essi?
Il fururismo ha il merito di essersi imposto, di essersi espanso in un sacco di ambiti diversi, cosa che con una corrente artistica normalmente non capita, stanziandosi prettamente in un unico campo artistico. Pensa al carneplastico! Il carneplastico!

A dire il vero sono molte le correnti artistiche che hanno invaso più ambiti, come il classicismo e il romanticismo, o il verismo... quasi tutte insomma.

Infatti tutti ci ricordiamo del grande manuale di cucina romantica, le ricette veriste, poi, sono sempre le più buone.
 
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view post Posted on 11/11/2010, 18:53




CITAZIONE (Dottore della Peste @ 11/11/2010, 18:49) 
CITAZIONE (Karma Negativo @ 11/11/2010, 16:34) 
A dire il vero sono molte le correnti artistiche che hanno invaso più ambiti, come il classicismo e il romanticismo, o il verismo... quasi tutte insomma.

Infatti tutti ci ricordiamo del grande manuale di cucina romantica, le ricette veriste, poi, sono sempre le più buone.

Pensavo intendessi ambiti artistici. No, non ci sono ricette romantiche o veriste. Bhè, non ancora...
 
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6 replies since 27/8/2010, 10:52   2286 views
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